Parole: approcci comunicativi, ovvero… della preterizione

Vorrei raccontarvi di parole e comunicazione, perché “nella comunicazione, nelle sue diverse forme, siamo tutti imbarcati in ogni momento della vita” (Borgna).

Dovrei partire da un inizio ancestrale, ma non c’è tempo…

Dall’ominide all’uomo ci fu lo spazio di una parola. E’ un cammino che parte dall’alba dell’umanità, traccia segni su pareti dipinte in notti rituali, incide tavolette e geroglifici, verga nomi su cocci, staglia nette parole su lapidi e tavole bronzee, passa per l’inchiostro sul midollo macerato essiccato di alberi teneri e si incanala negli impulsi elettrico digitali 0-1 / sì-no impresso per effimeri momenti tutti eterni su schermi liquidi.

In una canzone dei Pink Floyd la voce metallica dell’astrofisico Stephen Hawking, costretto a parlare con un sintetizzatore, dice: “tutto ciò di cui abbiamo bisogno è essere sicuri di continuare a parlare…(“It doesn’t have to be like this/ All we need to do is make sure we keep talking”)

Ma davvero bastano le parole per comunicare meglio?

Potrei raccontarvi di quando quell’essere su due gambe ha compreso che non bastava il grido di caccia o d’allarme. Di quando intuimmo di avere un corpo che mai smette di comunicare. Un corpo parlante che sviluppa pensiero nello spazio del linguaggio, fenomeno evento fatto di fonemi-parole-enuciati.

E vorrei dirvi di quando abbiamo intuito il legame tra conflitto e relazione (efficace) vedendo infrangere speranze di negoziazione contro lo scoglio della violenza delle armi. Vorrei anche dirvi di quegli esploratori che di parola in parola decifrano il senso dell’essere umano, che preferiscono allo scambio economico lo scambio comunicativo e che, creature ormai mature, sanno di essere linguaggio vivente con un fardello verbale, scritto-orale, non verbale e paraverbale.

Esseri immersi in comunicazioni sempre più strette divenute ormai relazioni profonde. E da questo picco della consapevolezza umana chiedersi come Rupnik: “Dio e l’uomo possono comunicarsi e comprendersi veramente?”, mentre re Davide con liuto a sei corde già cantava “Signore, la tua parola durerà per sempre: è più stabile del cielo” (Salmo 119).

Ma mi manca il tempo…

E potrei chiedervi se percepite che questa sorta di sviluppo comunicativo può divenire tortuosa prigione della mente in eccessi di sovraccarichi comunicativi. Ammassi di scambi verbalizzati persi in reti infinite, mai cancellati, sempre disponibili a tornare a galla ma senza un ordine, senza una regola. Parole ab-usate che offendono le grammatiche, parole che salvano la lingua, parole immagine, nuovo cibo per homo videns: emoticons, chat, sms, messaggi, ma quale messaggio?

In una canzone dei Depeche Mode, un improbabile re con la sdraio in mano cerca il suo regno di pace cantando: “Tutto quello che ho sempre voluto, di cui avevo bisogno, è qui tra le mie braccia, le parole sono inutili, possono solo ferire…” )“All I ever wanted/ All I ever needed/ Is here in my arms/ Words are very unnecessary/They can only do harm”).

Se avessi tempo, percorrerei con voi i mille sentieri in cui le parole incrociano le storie dell’umanità, per scoprire che “è la storia umana che fa passare il reale allo stato di parola” (R. Barthes)

Cercherei di mostrarvi che le parole non sono solo precise aguzze pronte da scagliare, come canta Bersani nella canzone “le mie parole”.

Semmai sono sassi che lastricano il cammino umano verso la conoscenza. Vorrei citarvi la teoria innatista di Chomsky, ricordarvi l’ipotesi cognitiva di Piaget e l’interiorizzazione del segno di Vygotskji (in fondo tutti siamo passati dalla lallazione… e qualcuno ci è rimasto…). Senza parlare della comunicazione simbolica, evitando il proliferare di segni della semiosi illimitata di Peirce e le riflessioni di Eco su segno-significante-significato. Con Barthes tutto il mito (moderno?) è una parola.

E le relazioni comunicative? Potremmo parlare dell’analisi transazionale di Berne e delle posizioni esitenziali, ma anche, quasi all’opposto, della Programmazione NeuroLinguistica di Grinder e Bandler, con i suoi stili comunicativi visivo-auditivo-cinestesico. E non ho tempo di parlarvi della Comunicazione Non Violenta di Rosenberg, stupendo tentativo di rivedere il nostro modo di parlare che mira alla comprensione e al rispetto reciproco nelle relazioni, in 4 passaggi: distingui osservazione e valutazione; esprimi i sentimenti; esprimi i bisogni; formula una richiesta.

Conosco il valore dell’assertività e della comprensione empatica (Carl Rogers): le parole e la Parola (con la P maiuscola) valgono il tipo di presenza che offriamo all’altro (Altro) per creare una relazione.

E’ fondamentale ampliare il nostro vocabolario dei sentimenti e dei bisogni per dare un nome a ciò che è dentro noi, per metterci in contatto profondo con gli altri.

quante volte siamo capaci di immedesimarci nei pensieri e nelle emozioni di chi sta parlando? Quante sofferenze, e quante ferite, eviteremmo se ogni volta seguissimo il cammino misterioso che porta a presagire quali sono le attese, giuste o sbagliate, silenziose o gridate, che sono in noi e negli altri da noi” dice Eugenio Borgna.

E forse, questa volta, non mi resta davvero più tempo, se non quello per provare a dire il senso delle parole con una poesia:

Falesie
Proliferazione di parole
inutili aguzze sprecate 
verbi sustanzializzati
agenti de-composti
dal senso dei tempi
incarnato nell'uomo
incarnito nei segni.
Non esiste limite al numero
di parole da usare
per descrivere l'Essere
che vedi, che senti.
Non esiste limite. Eppure taci.
Sai che non più da qui
passa la Storia
che neppure ti tange o consola
il gioco degli oppressi.
E' la disperazione che sempre
ci inganna, nemica
è l'angoscia ispida
che precipita in squallido buio.
Ma io invento storie
e mi nutro di narrazioni,
faccio di parole
il mio sentire,
non do ragioni.
Non altro che mazzi di segni 
ti posso offrire.
(Andrea Parato, Da luoghi intravisti, Fara Editore)

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